Colonna portante del Chievo dei miracoli, con un passato a Salerno da giovanissimo. Fabio Moro non ha dimenticato la città e i suoi tifosi, nonostante la stagione tribolata vissuta all’ombra dell’Arechi nel ’96-’97. Un’esperienza che lo ha segnato in modo positivo e lo ha fatto conoscere al grande calcio.
Fabio Moro e l’esordio in B con la Salernitana
Cresciuto nelle giovanili del Milan, l’ex difensore centrale ha esordito tra i professionisti nella stagione 1994-1995, in serie C al Ravenna. In terra emiliana, colleziona 25 presenze impreziosite da un gol. Dopo una fugace esperienza al Torino in Serie A, il passaggio alla Salernitana nel ’96-’97 in Serie B. Una stagione particolare, dopo due promozioni in massima serie sfuggite all’ultimo istante. La cosiddetta stagione di transizione, in cui era in corso un ricambio generazionale tra la splendida Salernitana di Pisano, Tudisco e Grimaudo e quella di Di Vaio, Artistico e i fratelli Tedesco che, con una cavalcata straordinaria, condussero i granata alla storica promozione in Serie A nella stagione successiva. Il giovane Moro, come tutta la squadra, pagò, presumibilmente, la tristezza dell’ambiente dopo la due promozioni sfumate e, allo stesso tempo, le forti pressioni. L’ex difensore, perseguitato anche dagli infortuni, nelle sue 25 presenze complessive fece, comunque, intravedere le sue doti all’ombra dell’Arechi. Qualità che, a partire dal 2000-2001, fecero le fortune del Chievo Verona, in cui divenne ben presto una colonna portante della squadra che arrivò persino in Europa. Nel corso dell’intervista ha ricordato i momenti trascorsi a Salerno che, a detta sua, lo hanno segnato sia come uomo che come calciatore.
Ciao Fabio. Questa sera la Salernitana affronterà il Chievo nel turno infrasettimanale. In qualità di doppio ex, secondo te, come finirà?
«Difficile fare un pronostico. Sono al Chievo da 20 anni, ormai Verona è diventata la mia casa. La Salernitana, invece, mi ha dato la possibilità di crescere. Un ambiente importante, in cui mi sono trovato benissimo. I granata arrivano da un momento molto positivo. il Chievo, dal canto suo, ha pagato alcune ingenuità ma, a mio parere, non ha fatto male finora. Sarà una partita difficile per entrambe le squadre».
Possono ambire, entrambe, ad un campionato di vertice?
«Me lo auguro. La Serie B è un campionato lungo e difficile, in cui devi essere attrezzato. Dipende anche molto da come si arriva a fine stagione, sia a livello fisico che mentale. Attualmente, non vedo squadre ammazza campionato, ma soltanto un discreto gruppo che può giocarsi la promozione diretta o i play off».
Facciamo un tuffo nel passato. Hai indossato la maglia della Salernitana nella stagione ’96-’97. Un’annata difficile, in cui era in corso una rivoluzione dal punto di vista tecnico. La stagione, per fortuna, si concluse con una salvezza al fotofinish. Quali furono le difficoltà?
«Le aspettative erano altissime. In quell’anno cambiarono diversi calciatori e, purtroppo, partimmo con il freno a mano tirato. I risultati non arrivarono, nemmeno con il cambio di allenatore tra Colomba e Varrella. Quando c’è un cambiamento tecnico è chiaro che qualcosa non va. A mio parere, comunque, era una buona squadra che perse fiducia a causa dei risultati negativi. Io arrivai a Salerno con l’obiettivo di vincere il campionato, ma alle prime difficoltà ci sciogliemmo come neve al sole. Anche l’ambiente diventò difficile. Il pubblico, a Salerno, è il dodicesimo uomo in campo, ma a volte può rappresentare un’arma a doppio taglio. Se le cose non si incanalano nel verso giusto, la palla inizia ad essere pesante. C’è da aggiungere che, probabilmente, alcuni veterani della squadra come Tudisco, Grimaudo e Breda, sentivano una responsabilità ancora maggiore, e tutto ciò non aiutò i nuovi arrivati».
A salvare i granata ci pensò Philemon Masinga con il goal all’Arechi contro il Castel di Sangro. Che ricordo hai del tuo ex, compianto, compagno di squadra?
«Philemon era un ragazzo d’oro. La notizia della sua prematura dipartita fu una botta terribile. Quando si va via così giovani è uno shock per tutto l’ambiente, specialmente per chi ha condiviso dei momenti con la persona che scompare. Che dire, era un ragazzo fantastico, che quell’anno ci diede una grande mano per il raggiungimento della salvezza».
Cosa ricordi, invece, della Curva Sud?
«Ricordi di grandi emozioni. Salerno è una città passionale che vive di calcio. A livello emotivo è un’esperienza che augurerei a tutti i professionisti che fanno questo lavoro. Il trasporto, il calore e la passione della gente si sente ed è palpabile. Una cosa meravigliosa, difficile da spiegare a parole. Oltretutto, ho ancora molti amici a Salerno. Gente di cuore che ti dà tutto, ma pretende uguale. Salerno è un ambiente formativo che ti forgia come uomo e come calciatore. Una volta giocato a Salerno, puoi giocare dappertutto. Mi dispiace di non aver dimostrato appieno le mie qualità, e questo sarà sempre il mio grande rimpianto»
Ora sei il responsabile tecnico del settore giovanile del Chievo. Com’è la nuova vita lontano dal terreno di gioco?
«Attualmente seguo i più piccoli. Per fare questo lavoro ci vuole amore e passione, ma anche determinate qualità. Giocare a calcio è il sogno di tutti i ragazzi. Per me è la cosa più bella che esiste. Quando si passa dall’altro lato del campo, ti si allargano gli orizzonti. Smetti di pensare in modo individuale e inizi a farlo a 360°. Se prima devi solo pensare a star bene e a dare il massimo, dopo devi gestire le risorse umane e mettere d’accordo tutti».
Grazie Fabio. Ti va di mandare un saluto ai tifosi granata?
«Certamente, li saluto con grande piacere. Tra l’altro mia moglie, in questi giorni, è in città. Segno evidente di cosa ha lasciato Salerno dentro di noi, nonostante siano passati più di 20 anni. Ci teneva a mostrare a mia figlia un posto dove siamo stati bene. Ringrazio tutti coloro i quali hanno contribuito alla mia crescita, personale e di calciatore. Salerno resterà per sempre nel mio cuore. Auguro alla Salernitana di riprendersi, prima o poi, quello che gli spetta. La piazza merita la Serie A».