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Dino Fava: “Il cambio di allenatore può far bene, ma Sousa non mi dispiaceva”

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Intervistato dalla nostra Redazione, il doppio ex di turno, Dino Fava Passaro, ha ripercorso i suoi anni a Salerno, soffermandosi anche su questioni più attuali. Ecco le sue dichiarazioni.

Dino Fava: “A Salerno un bellissimo impatto”

La carriera di Dino Fava Passaro è stata un continuo girovagare, per poi tornare dove tutto è iniziato: un viaggio partito e terminato (per ora) a Sessa Aurunca. Proprio nella cittadina in provincia di Caserta ha mosso i primi passi da calciatore (nella Sessana), quand’era ancora un ragazzino. L’esordio tra i ‘grandi’ è arrivato nel 1995, con la maglia del Formia, in Serie D. L’anno successivo è il Napoli a tesserarlo, permettendogli di giocare nel Campionato Primavera. Non esordirà mai in prima squadra, lasciando definitivamente la città di Partenope nel 1999, per trasferirsi alla Pro Patria. Poi Varese, Trieste, Udine (con l’esordio in Serie A), Treviso e Bologna.


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Attaccante abile nel creare spazio per i compagni, dopo un’annata positiva a livello di rendimento, ma negativa per quel che riguarda le realizzazioni, arriva a Salerno. Rimane alla Salernitana dal 2008 al 2011 (17 gol in 77 gare), giocando in B e in C fino al fallimento della società. Dopo il biennio alla Paganese, si arriva alla fine della sua carriera professionistica: un anno in Serie D con il Terracina e altre nove stagioni tra Eccellenza e Promozione. Oggi, a 46 anni, gioca ancora in quest’ultima categoria, con la Sessana: il cerchio si è chiuso (forse).

Nel 1996 passa dai dilettanti del Formia alla Primavera del Napoli. Com’è stato l’impatto con una realtà così grande per un ragazzo che veniva dalla provincia?

«Guarda, è stato bellissimo ed emozionante; penso che tutti i ragazzi sperino di vivere esperienze del genere. All’inizio abitavo a Soccavo e dormivo pochissimo di notte perché non vedevo l’ora che arrivasse il giorno successivo per vedere l’allenamento del Napoli. Poi mi scattavo sempre foto con i kit da allenamento che mi davano».

A Salerno, invece, è arrivato da ‘grande’, nel 2008. Che tipo di rapporto ha avuto con la città e con la tifoseria?

«C’è stato subito un bellissimo impatto. Arrivai con la squadra che era appena salita in Serie B, vincendo il campionato di Lega Pro, e partimmo anche fortissimo. Eravamo secondi, però, purtroppo le cose cominciarono ad andare male perché eravamo pochi a livello numerico e la B all’epoca era un campionato lunghissimo. Cominciammo a calare vistosamente, ma per fortuna ci salvammo. Poi la storia si è conclusa male, con la società che fallì e quant’altro».

Perché decise di scendere di categoria dopo il fallimento della Salernitana, accettando l’offerta della Paganese?

«Diciamo che l’età avanzava, quindi ho valutato un po’ di cose. A Pagani c’era mister Grassadonia e avevano assemblato un’ottima squadra per tentare il salto di categoria. Inoltre non volevo allontanarmi da Salerno, perché mia moglie era innamorata della città e i bambini andavano a scuola lì: insomma, mi trovavo bene. Infatti, vivevo ancora a Salerno e andavo tutti i giorni a fare allenamento a Pagani. Alla fine della mia prima stagione riuscimmo a salire, vincendo i play off».

Certamente saprà del momento infelice della Salernitana. Cosa crede possa aiutare la squadra a rialzarsi?

«Il cambio di allenatore, di solito, dà una scossa ai giocatori, anche se a me Sousa non dispiaceva. Spero che Inzaghi si sia integrato bene e che la squadra si riprenda al più presto. La situazione, in generale, non è facile: ora serve una vittoria. Serve come il pane quando sei in quelle posizioni di classifica, perché mentalmente sei bloccato, le giocate non ti riescono, la palla scotta e diventa tutto difficile. Vincendo arriva la convinzione nei propri mezzi».

Si parla tanto del derby di sabato, che si giocherà tra squadre certamente non alla pari, ma entrambe in un momento non facile. Secondo lei, la Salernitana ha qualche possibilità di portare a casa un risultato positivo?

«Il Napoli sta trovando molte difficoltà con le grandi, invece con le medio-piccole vince abbastanza agevolmente. Quindi, credo che per la Salernitana sarà durissima».

Lei è un highlander del calcio italiano. A 46 anni gioca ancora in Promozione ed è da 10 anni tra i dilettanti. Cosa c’è di più ‘sano’ in queste categorie rispetto a quelle superiori e cosa, invece, le manca di queste ultime?

«Mi manca la professionalità della società e dei compagni, oltre all’organizzazione generale delle squadre. In queste categorie si gioca soprattutto per passione e per divertirsi dopo il lavoro, anche se c’è qualcuno che lo fa come mestiere. All’inizio mi dissero che non sono ambienti facili, perché spesso accadono episodi ai quali non siamo abituati tra i professionisti, come dei litigi con gli avversari. Invece, mi trovo benissimo, mi sto divertendo tanto con i compagni, che mi rispettano tanto e sono sempre felici di giocare con me».

Progetti per il futuro?

«A fine anno mi ritirerò. Lo dico da anni, ma questa volta sono più convinto e credo proprio che sarà la mia ultima stagione. L’idea sarebbe quella di aprire una scuola calcio qui, nelle mie zone (vive a Sessa Aurunca, ndr), ma mancano le strutture, quindi voglio valutare un po’. Non è detto che non possa scegliere di fare l’allenatore, tornando a viaggiare, ma adesso vorrei rimanere qui. Sai, dopo anni a viaggiare, con mia moglie e con la mia famiglia abbiamo trovato un po’ di tranquillità. Però dipende da tante cose».

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