Quando non domandarsi e fermarsi
Ed eccoci al giorno dopo. Il day after. Un editoriale, sostanzialmente, non fa altro che questo: osservare e dire la propria. E c’era proprio bisogno del giorno dopo, guardare scrupolosamente il mondo accanto a noi e… eh sì, dire la nostra. Perché un giornale sportivo non vorrebbe che riportare i fatti che avvengono intorno ad uno sport e dentro a un campo. Il resto non dovrebbe interessare. E, invece, si ritrova a constatare che l’Italia tutta, davanti a qualsiasi circostanza, è divisa. Divisa così come è nata, così come l’abbiamo ereditata. Fermarsi o non fermarsi non avrebbe dovuto avere alcun contorno di un quesito shakespeariano, eppure la scelta, almeno a chi vi scrive, sembrava così logica. Dicesi Lutto Nazionale la volontà di raccogliersi insieme ad osservare e ad abbracciarsi, in doveroso silenzio, la commozione che accompagna tutti davanti ad una così rovinosa perdita. Eppure no, la voglia di vedere in campo C. Ronaldo è stata più forte di tutto, anche del dolore stretto in gola di chi ha dovuto rinunciare all’affetto dei propri cari.
In passato non si è mai creato il problema a fermare tutto quando a prendere in ostaggio uno stadio è stata la violenza dei teppisti. Là no, là ci si è fermati, perché il calcio dopato dai milioni, deve apparire pulito davanti alle tv. Fermati a… riflettere. A riflettere su cosa?! A come schedare i tifosi?!
Ieri – così come oggi – non c’era altro da fare che fermarsi. Non per riflettere. Per rispetto. Non è tutto bianco, non è tutto nero. Esistono valutazioni da fare ma non sul Lutto Nazionale, nazionale come quello stesso momento che unisce tutti gli italiani davanti alla tv o allo stadio. Tutti concentrati per seguire la Nazionale maggiore di calcio. Perché la stessa unità non può dedicarsi ad un abbraccio collettivo? Ah, no… ieri c’era C. Ronaldo in campo, e anche lo stadio Bentegodi, sponda Chievo, di solito non più affollato di tremilacinquecento anime, ieri era pieno. C’era C. Ronaldo.