Riccardo Mancini è una delle voci del panorama calcistico italiano, e non solo, più apprezzate del momento, la nostra redazione ha avuto il piacere di porgli alcune domande. Nel corso dell’intervista sono stati toccati svariati temi: dalle idee tattiche di Sousa ai dettagli del mondo delle telecronache.
Riccardo Mancini: “Sousa allenatore intrigante”
Nella sua carriera ha dimostrato una grande passione per il calcio, quando nasce questo amore?
«Nasce da bambino quando collezionavo VHS, cassette registrate, di ogni tipo di partita: finali o gare di Coppa Italia. Registravo tutto e rivedevo nei giorni successivi. Ritagliavo anche le foto dai giornali dei miei idoli, uno su tutti Alan Shearer, che per me era un giocatore straordinario, da lì comincia anche la mia passione per il calcio inglese. Tutto nasce da 5 o 6 anni senza che nessuno della mia famiglia mi trascinasse in questo mondo».
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Nel corso degli anni ha fatto da cornice a svariati momenti storici di questo sport ma qual è la gara più emozionante che ha commentato?
«Ti potrei dire che non c’è una risposta perché ho commentato diversi eventi ‘on sight’, così come si dice in gergo, particolarmente emozionanti: diverse finali, soprattutto a Wembley. Ti posso dire che la prima partita che mi viene in mente è un Community Shield, una Supercoppa d’Inghilterra del 2016. Quella è stata la mia prima a Wembley, per me fu molto emozionante anche per questo motivo con accanto Fabio Capello.
Era un Leicester-Manchester United, con il Leicester che aveva appena vinto il titolo e lo United di Mourinho e di Ibrahimovic. Finì due a uno per il Manchester United, il contesto del calcio inglese e tutta una serie di cose, come il fatto di poter vivere la città dal giorno prima, mi portano a dire che quella è stata una partita particolarmente emozionante.
Potrei citare anche diverse finali di FA Cup che, magari, a livello di spettacolo non sono state bellissime, ad esempio un Chelsea-Manchester United che finì uno a zero. Percepivo tanta tensione nonostante non ci furono grandissime occasioni da gol, però quella è una Coppa che per livello d’importanza equivale al titolo di Premier League. Anche quella è stata una partita straordinaria per per tutta una serie di emozioni».
Per molti il suo è tra i mestieri più belli al mondo, secondo lei quali sono le difficoltà che comporta una carriera come la sua?
«Per me è uno dei mestieri più belli al mondo. Da piccolo avrei voluto fare o il calciatore o il telecronista. Ho provato a sfondare come calciatore per una ventina d’anni poi ho dovuto fare una scelta che è stata quella di salire a Milano, e quindi di lasciare la mia città Natale: Roma. Poi, ovviamente, il calcio giocato quando ti entra dentro difficilmente ti esce, però, arrivi ad un’età che ti spinge a scegliere.
Le difficoltà sono tante, un mio caro amico mi disse da subito di lasciar stare il mondo del giornalismo perché è un mondo molto complicato. I telecronisti devono essere di base dei giornalisti perché per raccontare un evento nel miglior modo possibile bisogna avere una base di formazione e il giornalismo è in grado di dartela.
Certamente anche e l’alto numero di partecipanti a questa corsa, quindi l’alta concorrenza e i pochi posti che ci sono a disposizione, sono fattori da considerare. Secondo me, bisogna trovare le persone giuste e soprattutto trovarti al posto giusto nel momento giusto.
Io penso di essere stato molto fortunato in questo. Funziona un po’ come nel calcio: il talento deve essere valorizzato e ovviamente non tutti riescono a valorizzarlo. Il talento deve mettersi anche in mostra e deve trovare le vie giuste per farlo. Arginati un po’ di ostacoli poi la strada potrebbe farsi più semplice, è chiaro che non sia semplicissimo andare ad abbatterli».
La sua ascesa l’ha portata ad essere uno dei telecronisti più apprezzati del momento e fonte d’ispirazione per tanti giovani che hanno voglia di approcciarsi a questo mondo, che consiglio darebbe alle future generazioni di commentatori?
«I consigli che posso dare sono: crederci ed essere sempre molto precisi in ciò che si fa, essere costanti nel lavoro e nell’impegno, essere caparbi e non fermarsi al primo ostacolo, avere la faccia tosta ma essere allo stesso tempo educati ed intelligenti. Credo che siano tutte cose che bisogna mixare per poter cercare di fare strada. Il talento, spesso, fa la differenza ma utilizzando queste cose si puù arrivare ad un buon livello».
Infine, un breve commento sulla Salernitana. Le piace l’ideologia tattica di Sousa e dove, secondo lei, possono arrivare i granata nei prossimi anni?
«Sousa mi ha colpito, mi piace la sua idea di calcio. Ha fatto guadagnare tanta consapevolezza alla Salernitana che, a differenza di prima che arrivasse lui, ha in mano la propria idea di gioco. La Salernitana sa il fatto suo e non si fa intimorire da nessuno, queste sono caratteristiche importanti per una lotta serrata come quella per la salvezza. Inoltre, la sua è una squadra che gioca tanto il pallone, mi piacciono molto i due trequartisti, spesso con caratteristiche diverse.
Questo assetto dona ai granata imprevedibilità, ci sono ottime doti tecniche e, secondo me, Sousa ha saputo valorizzarle. Si nota la sua mano, è un allenatore molto intrigante. Adilà delle idee tattiche penso che sia un leader, uno che si fa sentire tanto all’interno dello spogliatoio».