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Walter Sabatini: “Il divorzio con la Salernitana è figlio di un equivoco”

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Il direttore sportivo Walter Sabatini, dopo il clamoroso divorzio con la Salernitana, ha rilasciato una lunga intervista al Corriere della Sera.

Sabatini e il divorzio con la Salernitana

L’addio di Walter Sabatini è stato un fulmine a ciel sereno per tutto l’ambiente granata: nessuno si aspettava questa separazione dopo il miracolo salvezza. Il DS rompe il silenzio e spiega le motivazioni che hanno portato a questa dolorosa separazione. Ecco uno stralcio dell’intervista.

Sulla separazione improvvisa:

«È tutto figlio di un equivoco. Nel caso di Coulibaly, assurto agli onori delle cronache, rifarei cento volte tutto. Ho solo cercato di difendere un patrimonio della Salernitana, messo a repentaglio da una clausola secondo cui il ragazzo poteva liberarsi a 20mila euro in B e a 1,7 milioni in A: un accordo che ovviamente non avevo fatto io. Il presidente perfettamente al corrente di tutto, come l’ad Milan mi ha dato mandato di risolvere la questione perché non voleva assolutamente perdere il giocatore, e io mi sono limitato a trasferirgli le richieste degli agenti. Stava a lui decidere se accettarle o se perdere Coulibaly. In passato, sul tema delle commissioni ho fatto battaglie di principio, nobilissime ma alla fine anche dannose. […] È una triste fine per un’avventura che ci ha fatto esplodere di gioia. È stata imbrattata una tela del Caravaggio, ma non è certo qualche schizzo di fango sulla tela che può sminuire un’opera d’arte».

La cosa di cui va più fiero:

«Aver riportato gioia e dignità a una città intera. Questa esperienza ha sublimato la mia vita sportiva e professionale. Lascio un monolite. Merito dell’allenatore e degli stessi giocatori. Oggi c’è un gruppo pronto a dare battaglia contro chiunque: naturalmente va integrato, migliorato, corretto. Spero che non venga disintegrato».

Sul suo futuro:

«Ci sono alcuni segnali e so che succederà qualcosa. Guardo avanti, guardo in alto. Merito certi palcoscenici, come la Champions».

Sulla crisi della Nazionale Italiana:

«È un discorso soprattutto strutturale. In Italia abbiamo troppa paura di perdere le partite, quindi la poltrona, la panchina, eccetera. Senza paura di perdere le partite si fanno giocare i 2001, 2002, 2003, ragazzi che matureranno subito per il club e per la Nazionale. Se non superiamo questa barriera culturale, il nostro calcio sarà sempre più povero».


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