La nostra redazione ha intervistato Cristina Lambiase Savage, dirigente addetta all’arbitro della Salernitana. Si tratta di un ruolo delicato e per nulla semplice, che non è ancora molto conosciuto ai più. Ecco, in esclusiva a SalernoSport24, le parole della responsabile.
Cristina Lambiase Savage e la panchina Granata
L’organigramma di una società di calcio è bello corposo e racchiude in sé tantissimi ruoli, soprattutto se questa società, come nel caso della Salernitana, partecipa al massimo campionato di calcio del proprio paese. Una figura importantissima e con un ruolo molto delicato all’interno di un club è quella del dirigente addetto all’arbitro. Il Cavalluccio targato Iervolino si è affidato, nel corso dell’estate 2022, a Cristina Lambiase Savage, che ha ricoperto per il suo primo anno questo ruolo dalle diverse sfaccettature.
Ti potrebbero interessare anche:
Lambiase Savage ha un passato da arbitro ed uno smisurato amore per il calcio. ‘Visceralmente salernitana’, è cresciuta a pane e football grazie ad una famiglia super appassionata. Sua madre, inglese, è tifosissima del Liverpool e questo l’ha portata ad avvicinarsi a più campionati e a più realtà calcistiche. È, inoltre, nipote di Lucio Lambiase, ex ala granata che giocò in Serie C negli anni ’70 e che resta tutt’ora nella storia poiché parte di una formazione, nel 1968-1969, che vinse quello che ancora oggi è l’unico trofeo a livello giovanile della Salernitana: lo scudetto Berretti.
Il suo è un ruolo che fino alla scorsa estate mancava alla Salernitana. Può spiegare di cosa si occupa nello specifico un dirigente addetto all’arbitro?
«Dall’anno scorso, con l’introduzione di due corsi di formazione per dirigenti addetti agli arbitri tenuti dal settore tecnico della FIGC e dell’AIA, è stato dato a questo ruolo una veste più ufficiale e di rilevanza all’interno degli organigrammi societari. Mi occupo dei rapporti tra la società e l’AIA (Associazione Italiana Arbitri, ndr), in particolare con il referente dell’AIA che si occupa delle società di Serie A e Serie B, Riccardo Pinzani. Il dirigente addetto all’arbitro occupa un ruolo di congiunzione tra la società di calcio e l’AIA stessa. È una figura di supporto a 360°, all’interno della società. Per fare un esempio, se ci sono novità regolamentari da comunicare all’interno delle società, questo viene fatto dal dirigente addetto all’arbitro. Si svolgono delle riunioni durante l’anno con l’AIA e i dirigenti di tutte le società di A e B e ci vengono trasferite eventuali novità o modifiche regolamentari. Oppure ci si incontra solo per fare il punto della situazione. Se in una gara ci sono episodi particolari, la società può chiedere chiarimenti al referente AIA tramite la figura del dirigente addetto all’arbitro».
«Ora ci sarà un terzo corso per la formazione, che dovrebbe svolgersi a breve. L’obiettivo è quello di rendere questa figura obbligatoria non solo per le partite in casa, ma anche per quelle in trasferta. La Federazione e l’AIA ci stanno lavorando. Nello specifico, il mio lavoro inizia, per ogni giornata di campionato, con la pubblicazione della designazione. Io inizio a lavorare alla scheda tecnica dell’arbitro designato per quella giornata di campionato. Per esempio, mi riguardo le partite dirette in precedenza con la Salernitana, mi informo e cerco di completare il profilo tecnico del direttore di gara, questo per agevolare la conoscenza dell’arbitro stesso da parte della società. In questo modo si prepara lo staff tecnico alla partita, ma da un altro punto di vista rispetto a quello del calcio puramente giocato sul campo».
«Il giorno della partita accolgo gli arbitri sul campo e sto con loro dall’inizio alla fine. Li assisto da un punto di vista pratico, per esempio: con la strumentazione tecnologica, le distinte di gara, le divise di gioco. C’è una forma di dialogo costante tra loro e la panchina, la società stessa. Durante la partita siedo in panchina, e può capitare che durante il match un giocatore o un membro dello staff mi chieda qualcosa su un episodio, chiarimenti sul regolamento. Io sono il collante tra la squadra arbitrale e la Salernitana, e incoraggio il dialogo tra due mondi che ad oggi si parlano molto di più rispetto al passato. Sono stati fatti tanti passi in avanti in questo senso. Sarebbe bello se ne facessimo ancora di più, se si dialogasse ancora di più, se ci si conoscesse meglio e ci si capisse meglio. Ci stiamo arrivando. Queste due componenti sono diverse, ma sono parte dello stesso gioco e sono essenziali».
Un ruolo difficile, delicato e che forse non riceve ancora la giusta attenzione. Al giorno d’oggi si parla tantissimo di regolamenti, polemiche…
«Esatto. Proprio attraverso il ruolo del dirigente addetto all’arbitro si riforma, dal punto di vista regolamentare, lo staff. Perché, in effetti, gli utilizzatori finali del regolamento sono i calciatori e lo staff tecnico: il regolamento è messo in atto da loro. Quanto più loro conoscono il regolamento, tanto più la lingua di queste due componenti si accomuna. È fondamentale anche da un punto di vista psicologico, avvicinandosi alle dinamiche di gara: cosa può pensare l’arbitro, cosa può vivere l’arbitro in quel momento, farlo capire anche all’altra parte dei componenti in gioco è importante».
Lei ha anche un passato da arbitro. Riguardo alla tecnologia, ai nuovi regolamenti o agli ipotetici cambi di regolamento come il tanto chiacchierato ritorno al fuorigioco con la luce tra attaccante e difensore, cosa ne pensa?
«Sono favorevole nell’utilizzo corretto della tecnologia nel calcio. Per esempio, riguardo la luce nel fuorigioco, se potesse portare ad un calcio più spettacolare, con un maggior numero di reti segnate, ben venga. Ora, ad esempio, il fuorigioco viene fischiato per pochissimi millimetri che non danno realmente un vantaggio all’attaccante. Ovviamente un eventuale ritorno al fuorigioco con la luce tra attaccante e difendente cambiarebbe le tattiche, renderebbe il gioco molto più offensivo».
«Tornando alla tecnologia, se questa può ridurre l’errore umano, che c’è poiché gli arbitri sono umani, ben venga. Arbitrare è difficile: il gioco è veloce, bisogna guardare tantissime cose contemporaneamente. Magari dopo una corsa da un’area all’altra durante un contropiede, nella stanchezza dello sforzo fisico, devi anche prendere una decisione fondamentale. E se c’è un elemento che ti aiuta a prendere quella decisione in maniera corretta allora è un bene».
È arrivata alla Salernitana la scorsa estate. In società si è aggiunta, quindi, un’altra figura femminile. Il club si dimostra molto moderno e premia il merito: che ambiente ha trovato in questo suo primo anno?
«Ho trovato un ambiente giovane, bello, fatto di persone capaci e che amano il calcio. Io amo il calcio a 360°, e qui ho conosciuto persone che davvero amano il calcio con la C maiuscola. Ho trovato persone di uno spessore umano e professionale fuori dal comune, e che hanno idee e progetti che farebbero brillare gli occhi a chiunque, soprattutto a chi, come me, ama la Salernitana».
Ha detto che ama il calcio a 360° gradi: quand’è che ha deciso di intraprendere questa carriera?
«Sono cresciuta in una famiglia che guarda calcio dalla mattina alla sera. Se ci fossero partite anche la mattina le guarderemmo (ride, ndr). Tutti in famiglia abbiamo un po’ il pallino del calcio. Mia mamma è inglese ed è tifosissima del Liverpool. Abbiamo sempre guardato il calcio con una vena passionale, abbiamo tutti una squadra del cuore. Mio zio è stato anche un elemento importante della Salernitana negli anni ’70. Oltre a questo sono sempre stata affascinata da alcune figure dell’ambiente arbitrale salernitano, come D’Elia e Boggi. Sono cresciuta nel mito di queste due figure. A 18 anni, abitavo in provincia di Brescia, decisi di avvicinarmi in maniera ancora maggiore al mondo del calcio. Decisi, così, di iscrivermi ad un corso per arbitri. L’anno successivo mi trasferii a Salerno e continuai la mia avventura arbitrale. Arbitrare era un modo per entrare nel mondo del calcio in maniera diretta. Lo avevo visto solo in TV, poi una volta entrati nel rettangolo di gioco cambia la tua percezione».
Riguardo questa sua prima stagione, è soddisfatta di quanto fatto e degli obiettivi raggiunti?
«Sì. È stato un ruolo nuovo per me, in un ambiente, quello della Serie A, che conoscevo solo tramite la televisione o dagli spalti. Per me, che sono visceralmente salernitana è stato un onore poter sedere sulla panchina granata. Da ex arbitro questo ruolo mi ha concesso di trovare quella linea di congiunzione tra il mondo arbitrale e quello del calcio giocato. Per il ruolo ho dovuto studiare nuovamente il regolamento, perché si aggiorna di continuo ed è cambiato tanto rispetto agli anni passati. Ho dovuto osservare e capire ciò che mi circondava in questo nuovo ambiente. E per nuovo ambiente intendo proprio la Serie A. Ho guardato il tutto dall’esterno, cercando di trovare il mio posto. È un ambiente di altissimo livello. Ho parlato tanto con amici e addetti al lavoro per carpire quante più informazioni possibili che fossero utili per permettermi di svolgere il ruolo al meglio delle mie capacità. Sono soddisfatta del rapporto che si è creato con la società, con lo staff tecnico, con i referenti dell’AIA e anche con gli arbitri che sono venuti a Salerno quest’anno. Racconto un piccolo aneddoto: l’ultima gara in casa, con l’Udinese, è stata l’ultima in carriera per l’assistente numero uno. A fine gara si è commosso e io non sono riuscita a trattenere le lacrime, perché entri davvero in sintonia con questi arbitri che vengono a dirigere in un ambiente che mi fa sentire fortunata. Alle spalle ho una società che crede nel dialogo e nel rapporto costruttivo con gli arbitri. Il mio lavoro, quindi, è più semplice anche se ho ancora tanto da imparare e da fare».
E proprio a proposito di quest’ultima cosa: quali sono i suoi obiettivi futuri?
«Voglio continuare a studiare il regolamento e voglio continuare ad aggiornarmi, per essere sempre più preparata. Il mondo del calcio è un mondo di pressioni, devi essere sempre al massimo e devi dare sempre il massimo. Sarei onorata di continuare a ricoprire questo ruolo e dare il mio contributo nella prossima stagione. Puntando il più in alto possibile, proprio come società. Il nostro motto è ‘sic itur ad astra‘ (=così si sale alle stelle) ed è emblematico».