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Federico Bonazzoli: “(Nicola) cambierà per sempre la mia vita”

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Un racconto meraviglioso di Federico Bonazzoli apparso oggi su Cronache da spogliatoio. Una lunga ed intensa storia che parla dei suoi ultimi cinque mesi a Salerno. Il suo rapporto con Nicola, con la squadra… e Ribéry.

Federico Bonazzoli in confessione

La Salernitana è già data bella che spacciata, manca solo in countdown… insomma, manca poco. E già dall’inizio del campionato, nonostante la bella prova di Bologna, che i granata sono designati come i primi a rivedere presto la serie cadetta. Ma c’è qualcuno che non è d’accordo, c’è qualcuno ecco… che ha detto ‘no’, o meglio che dità dieci inequivocabili parole. Una profezia, la si può chiamare come si vuole, ma suona così: “Noi ci salviamo, e ci salviamo nelle ultime due giornate”. Sono queste, niente di più, niente di meno, è la frase che Davide Nicola rivolge ai suoi nuovi calciatori nel primo giorno di allenamento della Salernitana. E poi la ferocia del leone che scende giù in campo.

Troviamo questa frase nel racconto che Bonazzoli, in arte bomber, rilascia a Cronache da spogliatoio. E non c’è niente di male nel sognare, ma qua, diciamocelo, si va abbastanza oltre. La storia di Bonazzoli il ‘pistolero’ inizia precisamente da qui: «Siamo a terra, morti. Una merda. Vi mentirei se dicessi che quel giorno, qualcuno di noi credeva alla salvezza. Vittorie: tre. Speranze: pochissime», e ne riportiamo uno stralcio.

La gara con lo Spezia, un’esclusione che serve

«Sabatini mi ha convocato per dirmi che contro lo Spezia sono fuori. La tensione si può toccare con mano. Siamo io e lui, uno davanti all’altro, e io insisto perché voglio aiutare la squadra, accetto la decisione dato e voglio contribuire allenandomi con i miei compagni. [..] Io lo so che stravede per me, e se mi chiama “Testa di cazzo”, invece di ‘Federico’, è proprio perché vuole spronarmi. Prima di congedarsi, mi ripete la stessa frase che ormai accompagna ogni nostro incontro: “Alza la testa, ti voglio vedere in faccia mentre ti alleni. Non ti devi nascondere”».

La partita con il Milan

«[…] Mancano 72 ore alla sfida contro il Milan. Credo sia il momento adatto per iniziare a parlarvi di questa cosa qui che abbiamo fatto. La chiamo così perché non ho ancora capito come definirla. Arriviamo all’Arechi e io sono sicuro di me stesso […]. Al 29’ Djuric arriva un’altra volta in cielo e mi fa la sponda. Non ci penso due volte. Bolgia. Disperazione. Pressione. La palla non scende, rimane lassù. E allora sì, è giunto il momento: rovesciata. […]. Mentre cado, sento il boato […], ma a me fare la rovesciata viene più naturale che prenderla di testa. […] Segno, mi alzo, esulto, non capisco più niente. Una cosa è certa: siamo vivi […]».

Il rapporto con Salerno

«Al Sud, quando arrivi, piangi due volte: quando arrivi e quando parti. Ed è proprio quello che è successo a me».

L’esultanza: «[…] In quel preciso istante vedo una marea umana rovesciarsi sul parapetto, e io inizio a fare la mia esultanza: la mitragliatrice. In quel preciso istante, davanti a me c’è un signore calvo che è in piedi su un seggiolino, in equilibrio precario, che resiste alla massa che gli cade addosso e inizia a fare la mitragliatrice con me. E iniziamo a sparare insieme per qualche secondo. Magico. Ho trovato poche volte in 25 anni di vita quello che Salerno è riuscita a trasmettermi. Il modo in cui ti fa sentire a casa. Salerno ti protegge. I tifosi sono protettivi. […] Loro sono lì».

Lui e Ribéry

«[…] sono seduto a bordocampo con Franck Ribéry. Lo facciamo ogni giorno: quaranta minuti a parlare, fianco a fianco. Lui mi racconta del suo passato, io dei miei sogni. Parliamo di calcio, di vita. Da un mese lo vedo meglio. E non ho problemi a dirglielo. Mi spiega che “Vedi Fede, io ho 39 anni e vorrei fare quello che facevo a 25. Poi ascolto il fisico, penso la giocata ma lui non va di pari passo. […] Nonostante ciò, io non mollo. […] ma sono venuto a Salerno perché qui c’è il fuoco. Io voglio vivere per questo fuoco, voglio sposare la causa di altre persone che ascoltandosi, chiedono alla vita di trovare quello che cerco anche io”. Mi sembra di avere davanti una persona nata e cresciuta a Salerno […]».

«Lui mi ha messo sotto la sua ala, soprattutto dopo che ho sgarrato prima della gara contro lo Spezia. “Quando ho visto Alaba al Bayern, l’ho preso con me. Quando ho visto Vlahović a Firenze, ho fatto lo stesso. Ecco, ora tocca a te”… se lo dice lui, mi fido. Quel giorno ho capito perché in carriera ha vinto così tanto».

 

Quattro gol consecutivi, vivo una favola. Nicola mi fa sentire importante, quasi fondamentale, e dentro di me sento un senso di responsabilità. Uno step in più: sentirlo sempre, essere costante, anche quando resti fuori, anche quando va tutto male.

Juventus-Torino-Roma: zero punti

«[…] Terza sconfitta di fila. Fa male. Il mister entra nello spogliatoio e, come sempre, riesce nella magia di farci capire una cosa che sembra semplice, ma che quando esce dalla sua bocca da tutto un altro effetto: “Non ci sono problemi, vinciamo la prossima”. Ecco, la prossima. A Genova, contro la Sampdoria».

Il rituale con Simone Verdi: «Tre giorni prima, come ogni pomeriggio da qualche settimana, io e Simone Verdi ci facciamo una passeggiata in centro. Il nostro sport preferito è andare sul lungomare e osservare gli anziani che giocano a carte. Stanno lì dalle 8 di mattina fino a quando non cala il Sole. Hanno i capelli bianchi e il viso scavato dal caldo, dall’esperienza. Seduti, sotto le piante. C’è un livello di competitività altissimo. Non abbiamo mai provato a sfidarli perché sono davvero troppo forti […]».

«Se penso a quella trasferta, mi viene in mente il mondo che scopre Éderson. Fenomeno. Se perdiamo, siamo praticamente retrocessi. Stop, finito tutto. Quella è una finale. […] La gente ha sempre cantato per noi, nella sconfitta o nel pareggio. Ma quel giorno siamo tornati a Salerno con tre punti. I nostri tre punti».

Battiamo anche l’Udinese e aspettiamo la Fiorentina in casa. Nel frattempo, Salerno si prepara a diventare un unico cuore pulsante. Rosario, il nostro magazziniere, mi avverte: «Potrai scendere in campo in qualsiasi stadio del mondo. Sappi che il giorno in cui giocherai davanti a 30mila persone all’Arechi, ti tremeranno le gambe». Quando esco dal tunnel degli spogliatoi contro la Fiorentina, là fuori è l’inferno. Le tribune a picco – che poi, da sotto le percepisci come enormi, ma non capisci che hanno una pendenza incredibile verso il campo – sono gremite, non si riesce a sentire neanche la propria voce. La verità è che se giochi contro la Salernitana all’Arechi, hai paura. Non è retorica, è veramente diverso dagli altri posti.

Arriva la Fiorentina

«La Fiorentina è in corsa per l’Europa, ma lo vedi che è intimorita. Non fanno quello che sanno fare. Il frastuono raggiunge decibel sensazionali. […] Il mister però ha bisogno di far capire a Ranieri che deve dargli ascolto. Così si toglie una scarpa e gliela punta contro […]». Poi: «[…] Cross di Ruggeri, errore di Igor, ci credo ed è la terza vittoria di fila. Una vittoria sporca, dove tutti hanno fatto la propria parte […] Un’emozione che ti prende dalla testa ai piedi e ti fa sentire la persona più forte dell’intero pianeta. La colpa è mia, che vivo il mio lavoro in modo maniacale. Se ne sbaglio uno, non dormo per tre giorni. Ma se mi chiedi cosa voglio dalla vita, io voglio fare gol».

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Lino Grimaldi Avino
Lino Grimaldi Avino
Lino Grimaldi Avino, giornalista, editore e scrittore. Ha lavorato presso Cronache di Salerno, TuttoSalernitana, Granatissimi ed è direttore di SalernoSport24. Alla radio ha lavorato presso Radio Alfa, e attualmente conduce due programmi sportivi a RCS75 - Radio Castelluccio, Destinazione Sport e Destinazione Arechi. Ha pubblicato due libri: Angusti Corridoi (2012) con la casa editrice Ripostes, e La vita allo specchio - Introspettiva (2020) con la Saggese Editori, con prefazione dello scrittore Amleto de Silva.

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