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Ribéry intervistato da DAZN: “Qui mi trovo bene. In futuro mi piacerebbe allenare”

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Su DAZN è uscito l’atteso Linea Diletta dedicato al capitano della Salernitana, Franck Ribery. Ecco le parole del numero 7 granata, che ha parlato non solo dell’ultimo anno, ma della sua intera carriera.

Ribery a DAZN: “A Salerno si vive per il calcio”

A bordo di un peschereccio il capitano della Salernitana, Franck Ribéry, è stato intervistato da Diletta Leotta per la rubrica Linea Diletta. Ai microfoni di DAZN il francese ha spaziato su più argomenti: dal suo anno trascorso a Salerno fino alla sua ‘casa’, il Bayern Monaco, passando per delusioni e successi.

Su Salerno e i tifosi

«Bene, è una bella città. Qui si vive per il calcio e sono contento. All’inizio non sapevo molto su Salerno. Poi quando vieni vedi la gente e vive per il calcio, c’è passione. Per questo ho accettato di venire qui. Anche se sono dell’83 sono ancora un ‘bambino’. Questa passione mi piace. La mentalità è simile a quella del sud della Francia. Prima di andare all’allenamento spesso passo per il centro della città. I tifosi mi fermano e sono felici, e sono contento anche io. Il tifo è simile a quello francese».

Sull’età, sul fisico e sulla mentalità

«Si sente l’età. Dopo venti anni di carriera ho corso tanto, ho fatto tante partite. Ma la fame o ce l’hai o non ce l’hai. È mentalità. Oggi non vado veloce come quando ero giovane, ma la mentalità e la voglia sono le stesse. A fine partita voglio sentire la maglietta sudata, voglio sentire dolore e stanchezza, così so di aver dato. Anche quando facciamo allenamento sono contento. Quando ci sono le partitelle tra di noi, 4 contro 4, 5 contro 5, voglio vincerle sempre. Non voglio cambiare questa caratteristica».

Sui calciatori giovani

«Mi piacciono quando vogliono lavorare e hanno fame. Ne ho conosciuti tanti che avevano il talento, ma non la grinta. Io provo sempre ad aiutarli, voglio che un giorno tu, giovane, ti veda come un grande, come un campione. Come ad esempio con Alaba. Gli ho fatto capire il senso del lavoro. Gli dissi “pensa a fare sacrifici e a lavorare”. Lui è stato intelligente e oggi parliamo di una persona che ha vinto tanto. Stessa cosa con Vlahovic: lui la mentalità ce l’ha. Io nel 2006 avevo 24 anni e guardavo come si comportavano i grandi campioni, come Zidane».

Il calcio di oggi è diverso

«Oggi i giovani vedono tutto andare troppo veloce. Da piccolo io non avevo niente, è stata dura anche comprare le scarpette. Oggi c’è tutto. È un po’ un peccato perché perdi i valori della vita. Va tutto troppo veloce. A 24 anni non ci pensi, poi ti trovi a 39 anni in un batter d’occhio. In un attimo è tutto finito».

Su una possibile carriera da allenatore

«Mi piacerebbe fare l’allenatore. Anche se non ci penso ancora perché vorrei continuare a giocare. Posso ancora dimostrare e donare qualcosa alla gente, posso farlo. Però mi piacerebbe allenare, mi piace stare vicino ai giocatori. Questa cosa un po’ l’ho fatta negli ultimi 5-6 anni, anche a Firenze».

Sui 12 anni al Bayern Monaco

«Sono di casa. Forse mi sento più a casa a Monaco che in Francia. Nel 2012 abbiamo perso tutto: siamo arrivati secondi in campionato, abbiamo perso la coppa di Germania e abbiamo perso la finale di Champions contro il Chelsea in casa. Le vacanze furono un disastro. L’anno dopo, invece, abbiamo vinto tutto. Incredibile: è questo il calcio. È bello per questo».

Tanti gol in carriera, ma soprattutto tanti assist

«Mi piacciono gli assist, mi piace vedere i miei compagni contenti. Forse sono un po’ pazzo, ma ce l’ho dentro».

Essere leggenda dopo aver giocato in grandi squadre

«Vengo dalla strada, e sono passato all’essere un professionista. Mai avrei pensato di giocare con Zidane. Guardavo i campioni giocare, poi nel 2006 ero lì con loro».

La mancata qualificazione dell’Italia ai Mondiali

«È un peccato ma è così, ci sta. È difficile per tutti, in primis per i calciatori. Ma bisogna guardare sempre avanti: l’Italia è l’Italia, rimane una grande nazione, con un grande peso».

Sulla famiglia

«Mi mancano. Nella vita vanno fatti sacrifici, perché dopo c’è un’altra vita. È giusto che mi manchi la mia famiglia. I bambini sono stati i primi a decidere per il mio trasferimento a Salerno. Siamo tutti contenti. Uno dei miei figli gioca nel Bayern, è numero 7, come me. È forte».

Il rischio di abbandonare il calcio da giovane

«Ci sono stati dei problemi tra la società e la banca. Per mesi sono andato a lavorare. È stata dura, ma è stata una bella storia. Ora non aspetto gli altri, se c’è qualcosa che voglio fare la faccio».


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